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La strenna di Natale

Natale incalza, bisogna pensare a un bel regalo. Ma perché siamo così legati all’idea, probabilmente attecchita in tempi vetusti, di scambiarci doni?

Ha inizio con le strenne dei Romani l’usanza che, ogni anno, rende il nostro portafogli più leggero, ma il cuore…., quello sicuramente più che colmo. Puntuale, in quell’epoca storica, il primo del mese di gennaio, festività delle calende e sorta di antichissimo Capodanno, un ramoscello d’alloro o di ulivo veniva colto nel bosco sacro della dea Strenia (da cui la parola “strenna”), venendo poi donato alle persone care come augurio di prosperità e di abbondanza.

Vero artefice delle circostanze, secondo la leggenda, fu il re dei Sabini Tito Tazio.

Secondo un’altra teoria, la stessa che vede nel Natale un evento puramente commerciale, lo scambio di doni pare sia stato “inventato” a metà del XIX secolo, incentivato dalla stessa borghesia che, ai subalterni, faceva doni piccoli ma simbolici, allontanando la percezione della diversità di censo. Lo stesso termine “strenna” diventava intercambiabile con quello dei “regali del periodo di Natale”, dove tutti ci si riscopre più buoni e generosi quasi come per nemesi di un nostro egoistico costume, dando all’evento un connotato fiabesco, quasi mitico, dacché lo vogliono il folclore e lo stupore – di bambini e non – su cui fare leva… una riuscita strategia di marketing dunque, neanche troppo inconsapevole, ma molto funzionale allo scopo.

La strenna propriamente detta in periodo industriale ha lasciato il posto a una tradizione sicuramente meglio rappresentativa del volersi bene. Non più avvizziti aristocratici proclamatisi generosi padroni di casa, ma benvenuti regali fatti per riunire, per dare modo a ciascuno di esprimere affetto e sentirsi, a parti alterne, protagonista di una mattina, di un giorno e di una sera.

Non che la pratica di scambiarsi doni abbia dimenticato la sua natura di evento commerciale, soprattutto con il recente sviluppo dei grandi magazzini e dei centri commerciali, ma, per lo meno, la marcia verso il regalo resta superflua rispetto all’economia generale di una famiglia, non si cerca più di allontanare il “mostro della disperazione”, o delle lotte di classe.

La strenna di Natale regali

In merito a cosa regalare, anche questo è stato, durante gli anni, oggetto di accurate ricerche e tribolazioni da parte di chi ha assunto il ruolo di donatario. L’arte di essere “Babbo”, è dura: …non impossibile, però…

Ai giorni nostri, e soprattutto in ambito lavorativo, il regalo tradizionale che ancora va per la maggiore sembra essere la famosa cesta natalizia ricolma di prodotti tipici del territorio e di prodotti ricercati o, talvolta, di consumo elitario. Bar, ristoranti, pasticcerie e attività commerciali insieme, fanno del Regalo, con la R maiuscola, una riuscita fusione tra peccati di gola, utilità spicciola, e ricerca del gourmet o della tradizione.

Guardando indietro, possiamo vedere nonne e padrone di casa confezionare ceste natalizie con oggetti fabbricati a mano e prelibatezze sottratte al fattore, pestano conserve, marmellate, tessono ninnoli, e gli interessati erano personaggi “illustri” o cari alla comunità, basti pensare al ruolo che aveva il medico di famiglia, il sindaco, soprattutto nei piccoli villaggi. Dal personaggio a i personaggi, plurale, il passo calca brevissimo. Ritrovati i giorni dell’abbondanza, il calderone delle ceste gronda di originalità, e il settore della ristorazione sa cosa cerchiamo, valorizzando la fidelizzazione.

Se non si vuole scadere nella trovata commerciale a tutto tondo, bene è sempre scegliere prodotti artigianali o a chilometro zero, chiedendo a gastronomie o macellerie che, sotto le feste, inscatolano primizie o preparano ordinazioni su misura, per sé ma anche per gli esercenti di cui sopra.

I migliori locali scelgono allora, per amici e clienti affezionati, solo il dettaglio. E per riconoscere un cesto non “flop”, la prima parola d’ordine sarà “fresco” o con prodotti specifici e territoriali, meglio se “genuini”.

La seconda parola d’ordine, sarà “fantasia”. Dai saponi alle candele, dai liquori ai dolci, passando per cioccolate equosolidali, praline alla crema, formaggi nostrani, spongate a lievitazione naturale, pandolci, d’uopo quando si passa per il Levante Ligure, salumi stagionati e l’immancabile bottiglia di moscato o passito, o se avanza spazio, perché no, qualcuno infili presto una lenticchia di Castelluccio di Norcia, il “Babbo” attento sa di doversi rimboccare le maniche e ordinare – o ancora creare – secondo i gusti e le preferenze di chi riceve.

Se il cesto è a tema culinario, tanto vale prendere spunto da un pizzico dei sapori della terra d’origine. Nel qual caso, strike vincente per la selezione dei prodotti di spicco a marchio Riviera Ligure: una bottiglia di olio extravergine, dei filetti d’acciughe sotto sale e un buon pesto alla genovese apporranno la firma – e la tracciabilità – giusta.

Ecco dunque che la tradizione della vera “strenna”, del “pensiero fatto col cuore” continua e non scompare…all’insegna di un “Buone Feste” a tutti!

di Erika Giorgetti

 

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