Il rito dell’aperitivo


Erika Giorgetti
28 Mar, 2022
Il rito dell’aperitivo
L’aperitivo: o lo si ama, o lo si odia. Da semplice bevanda il cui consumo è tradizionalmente legato ad anticipare i più ricchi banchetti, lo abbiamo reso un momento di aggregazione, simbolo di status sociale, di condivisione, e anche di buona cucina.
Questi drinks da aperitivo, tradizionalmente chiamati cocktails, ed ognuno dotato di carisma, nomi evocativi, preparati con ingredienti e ricette – o modi di preparazione e servizio – uniche, fanno parte della categoria di tonici per stimolare l’appetito. Troviamo bevande alcoliche o scarsamente alcoliche (i cosiddetti cocktails o drinks) o analcoliche, molte volte “della casa”, in genere consumati tra le 18 e le 20 in locali esclusivi.
Tali mash-up di ingredienti non sono, contrariamente a quanto si può pensare, di moderne origini: già i romani e i greci li si vedeva sorseggiare vini con miele oppure aromatizzati con determinate spezie, prima del pasto. Li chiamavano aperitivus, e sono arrivati come intrugli prevalentemente amari – oggi li riconosciamo nei bitter –, di sostanze stimolanti, fino al Medioevo. Si dice che Caterina de’ Medici venisse considerata maestra nel miscelare bevande la cui fantasia in essere non aveva limiti.
Il rito dell’aperitivo: le dosi e gli ingredienti
Le dosi aromatizzanti contenute in ciascun aperitivo variano e la composizione dipende da come sono miscelate in proporzioni diverse le basi, oppure si utilizzano ingredienti sempre nuovi per ciascun esperimento. A volte anche lo zucchero.
Un buon supporto viene fornito dai succhi e dalla polpa di frutta, da scorza di arancio dolce, lime, menta, radice di genziana, assenzio, ginger 12 e zenzero, foglie di aloe, ma si usano perfino spezie salate, come la maggiorana. Rari, però interessanti, modi di servire l’aperitivo sono proposti dalla cucina molecolare, che consente letteralmente di prendere in mano il cocktail, divenuto un cubetto o una pallina solida paragonabile ad un delizioso finger food.
Il boom dell’usanza di bere cocktails prima di cena, inteso come rito, arriva nei primi decenni del ‘900, con la produzione di massa di seltz e sode – Campari dal 1932 ha orchestrato molti incontri – e, trascorso il tempo, sorseggiare un aperitivo è divenuto un momento di collante sociale, dove incontrarsi con amici o conoscenti subito dopo gli impegni lavorativi, o staccare dalle problematiche di tutti i giorni.


Il rito dell’aperitivo: la storia
Alcolici ed analcolici vengono accompagnati da vassoi di tartine o set di snack, dalle noccioline alle olive, per “aprire” la strada alla cena vera e propria; in questo senso, l’aperitivo classico è stato sostituito, o fuso, con la moda dell’ “ora felice” (l’happy hour). Milano, Torino e Brescia, in particolare, grandi città del nord, ne hanno fatto un’ istituzione e alle classiche noccioline si aggiungono ricchi buffet, pizze e bruschettine.
Due cenni di storia. Gli anni d’oro del cocktails arrivano col proibizionismo: gli alcolici erano infatti di qualità così infima che i baristi erano costretti a mischiare più ingredienti per poter offrire ai clienti qualcosa di minimamente bevibile, inoltre erano privi di qualsiasi ricetta standard.
Nel 1840 Betsy Floyagan, durante la Guerra di Secessione, servirà ai soldati una bevanda corroborante realizzata mischiando alcuni distillati, ma la quantità da reperire, per la povera Betsy, era talmente scarsa, e gli ingredienti mischiati talmente tanti, nonché miscelati in modo improvvisato, che gli stessi soldati, vista la colorazione vivace e “misteriosa” delle bevande, decideranno di denominarle cock-tail, ovvero coda di gallo. I grandi puristi ritengono che il termine possa derivare del latino “aqua decocta”, ovvero acqua distillata.

Il rito dell’aperitivo: un’altra linea di pensiero
Un’altra linea di pensiero lo vedrebbe derivare invece dal francese: si era nel XIX secolo e il farmacista Antoine Peychaud si servì di un portauovo (coquetier) per miscelare i liquori ai suoi clienti, da lì l’appellativo. Sia come sia, la fortuna del cocktails è stata decretata dalla sua diffusione… l’abitudine di consumare questo tipo di bevanda è approdato in Europa, diffondendosi dunque a macchia d’olio.
Mojito, Daiquiri, Sazerac, Moscow Mule, Spritz, oggi, restano solamente alcuni dei massimi protagonisti del palato da stuzzicare, in tutte le regioni di Italia. A Torino e a Milano, per l’aperitivo tradizionale, i consumatori prediligono vino Prosecco, aperitivi bitter e seltz in bottiglietta, nel Veneto il Campari non ha rivali. Particolare invece il caso di Brescia, dove al semplice bitter si preferisce il Pirlo: un mix a base di bianco frizzante, seltz e Campari.
Un bicchiere di buon vino, i quattro amici al bar cantati da Gino Paoli, oppure un analcolico e qualche tagliere di salumi tradizionali e sfiziosi, magari un capace barista e personale cortese, sono gli ingredienti intramontabili per riuscire a ritagliarsi un angolo di paradiso tra le isole d’asfalto e scambiare alcune piacevoli chiacchiere al bancone, con chi vi va.

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