Il PESCE nel Levante Ligure


Erika Giorgetti
20 Mag, 2022
Il PESCE nel Levante Ligure
La Liguria di Levante e i Liguri, in generale, sono noti per lo sviluppo di una cultura del saper mangiare bene, e sano, tra le più riuscite del nostro Paese. Ed anche tra le più antiche. Lo status ligure si deve al fatto che la natura, per quanto sia avara – visti gli impervi scalini tra gli orti e certi anfratti ventosi – abbia riconosciuto all’uomo, qui, la possibilità di ammansirla, grazie a un lavoro di coltivazione, raccolta e urbanistica unici e, forse, ormai rari.
Anche il mare ha un ruolo nell’evoluzione enogastronomica. La fatica, pare, assuma il comando delle portate del Levante. Nonostante le correnti e i fondali subito insidiosi, prima le barche a remi, coi gozzi, poi le lampare, si vedevano spinte fin dove potevano: nel mare aperto, alla ricerca del pesce azzurro, o lungo le rive, dove mani sapienti miravano al pesce “povero”. Dunque, bisogna riconoscere non soltanto fantasia, ma anche ingegno e forza di volontà, a chi oggi ci garantisce la presenza di squisitezze che, altrove, mica troviamo buone tanto quanto. Ciurma, pronti a curiosare…

Il PESCE, gli allevamenti nel Levante Ligure
Branzini o spigole ed orate, le prime allevate a Sestri Levante, per il piacere del palato di chi, da lì, si sposta verso le passeggiate di Santa Margherita – da sé già nota per i suoi gamberi rossi unici e incomparabili – e Portofino, le seconde prese al largo di Lavagna e, tuttavia, pur essendo soggette ad acquacoltura, ciascuna mai toccata dalla piaga dell’allevamento intensivo, tutto il pesce vive a contatto con i suoi simili, coi molluschi e fauna autoctoni, fornendo, giunto a tavola, un prodotto di elevata qualità. Tenera, la carne, si serve al meglio con verdure e patate al forno. Oppure, e i migliori locali di Santa Margherita ne definiscono il regolamento ufficioso, a tranci in guazzetto, delicatissimo il profumo di soffritto e sale grosso – salsine e zuppe non vanno confuse con la bouillabaisse, di matrice provenzale, e quindi made in France. Il Tigullio, figlio ufficiale della Riviera di Levante, è anche questo.
Se invece siete dei nostalgici, i siti migliori per la pesca, dalle nostre parti, li abbiamo alle Grazie nel Comune di Portovenere – nella zona antistante l’allevamento ittico – dove la materia prima, nello stesso borgo, non manca e lo rende rinomato.
In tema di molluschi, legandoci a un periodo di prove e calibrazioni certosine sì da indovinare l’habitat più idoneo, sono finalmente arrivate sul mercato le ostriche della Spezia. Coltivate in quello specchio d’acqua famoso perché, sul finire dell’Ottocento, ha dato asilo a un sontuoso programma di allevamento di cozze (qui conosciute come “muscoli”), il commercio di massa, per così dire, è ancora off limits per loro. Bisogna prenotarle e farsi piacere il costo, ma grazie a un fattore imputabile alla salinità, che ne esalta il gusto, le “già” famose ostriche dello spezzino stanno spopolando, ideali perché a chilometro zero – raccolte la mattina, eccole, di sera, già pronte per essere consumate –, e con un futuro di vendita al dettaglio garantito in Toscana e in Lombardia.

Il PESCE, le tradizioni nel Golfo dei Poeti
A Portovenere, invece, la coltivazione decide di puntare, ultimamente, sulle ostriche verdi, già presenti ai tempi di Shelley e Byron, dal momento che con facilità si adattavano alle esigenze della mitilicoltura praticata sul posto. Grande esempio, come lo descrivono i giornali, di microeconomia locale, i prodotti di Portovenere e, con lei, della Spezia, “muscolacci” inclusi, piacciono perché freschi, morbidi, e ben lontani dai porti inquinati. L’oro nero, dello spezzino, trova la morte sua ripieno, con pan grattato e mortadella. A sentire i puristi, anche semplicemente spadellato con un po’ di peperoncino e acqua di cottura.
Volandocela nel lericino, esattamente tra le frazioni di San Terenzo e Tellaro, rivalutate il concetto di insalata di polpo. I fondali ospitano una gamma incredibile di invertebrati, seppie e moscardini oltre al famoso cugino tentacoluto, e proprio le seppie sono protagoniste di una ricetta da dieci e lode, quando cucinate in zimino: doveroso, un atto di gentilezza nei riguardi di tale, gustosa e nobile morte; la seppia va irrorata con ottimo vino di uve Vermentino, e adagiata su un letto di crostini.
Il PESCE tipico del lericino: le seppie in zimino
Zimino deriva dall’arabo, preso dall’etimo “samin”, che rimanda ad un piatto grondante olio e parecchio impegnativo, ma a noi piace siccome, tralasciando l’aspetto di uno stufato, riesce a coniugare mari e monti. Ci vanno le biete e gli spinaci lessati, e tanto sugo, con pomodori freschi. Freschissimo lo è anche tutto il pesce che Lerici regala ai propri commensali, e le porzioni, al ristorante, abbondanti. Le fritture miste, mai unte, si collocano al top, mentre scampi e gamberoni li vediamo impiegati nei primi e in grigliate capaci di soddisfare il palato più raffinato.
Ma si diceva del polpo… quando volete fare dono di ossequi, al ligure medio, potete aggiungere alla classica insalata di mare – dove il polpo si sbollenta – una goccia di olio di Bonassola e due foglie di basilico, due soltanto.
Golosi? Provatelo con le olive taggiasche e uno spicchio d’aglio tritato, sempre deve essere presente il prezzemolo, o con due fettine di polenta abbrustolita anziché il pane. Tellaro è la patria di questa specialità, e una sagra, appunto del polpo, ricorda leggenda e tradizioni dello splendido paesino, giacché, se è sopravvissuta alle incursioni con a capo Galla D’Arenzano, fu grazie all’allarme dato da un gigantesco esponente della specie, aggrappatosi alle corde del campanile.

Il PESCE per antonomasia nel Levante Ligure: l’acciuga
Tempo di bagni, tempo di focaccia. Pardon, fugassa. A Monterosso, grande vanto delle Cinque Terre, obbligatorio un “tocco” con le acciughe. E, sappiate che le acciughe non solamente si sposano a meraviglia con il carboidrato prediletto, ma di Monterosso simboleggiano il commercio, la vita, la quintessenza. Ragione per cui potete consumarle anche a crudo, con olio (ligure, non serve variare) e limone, e, se proprio si vuole esagerare, di nuovo aglio e prezzemolo.
Ricordiamo i giorni della guerra, di quando gli uomini uscivano in mare, e i pesciolini cadevano vittime del sortilegio di una lampada issata a bordo. Le donne, viceversa, perfezionavano la conservazione sotto sale, disponendo le acciughe sfilettate nelle “alborelle”, i vasetti di vetro che oggi, bontà delle madame, trafugano finita la marmellata. L’acciuga era, ed è, vita, in quel di Monterosso, fondamentalmente per un motivo: garantiva il sostentamento. Nonne e nipoti viaggiavano sino alle porte dell’entroterra vendendo ceste intere di acciughe salate. Non stupiamoci, a sentire l’appellativo “pan do mâ” (il pane del mare).
Allora, altro giro ed altro regalo, dietrofront per trafugare chili dal Tigullio. Riva Trigoso attende col prelibatissimo “bagnun“, che, stavolta, riadatta le acciughe in una zuppa originariamente cucinata a bordo dei leudi, mediante un semplice fornello a carbonella. Cipolle, pomodori e una sfumata di vino, mai dimentichi delle gallette, fanno il resto. Dal 1960, la ricetta viene omaggiata durante lo svolgimento di una nuova, omonima, sagra, verso fine luglio.
PESCE e verdure: il cappon magro
Un unico piatto a base di pesce e verdure, corredato da una saporita salsa verde alla ligure e servito con – pensate un po’ – gallette delle più basilari, salta fuori essere il “cappon magro”. Col cappone piumato, il grande maschio che razzola, non ha niente in comune. Di certo, si può dire che di questo piatto esistono davvero infinite varianti, ma non mancano, ed è regola, aragoste per guarnire, scampi, cozze, vongole e pesce azzurro, al massimo si ripiega di nasello e merluzzo in mancanza dell’orata.
Anche il cappon magro nasce a bordo delle navi, piatto riciclato con gli avanzi del pescato di giornata, il degno tappabuchi dopo ore di navigazione… la ricetta ambisce a divenire una coreografia da pasto durante il periodo Barocco, quando il primo composto iniziò a essere decorato con salse, gamberi sgusciati, uova e altre verdure. Rapallo, finora assente, prende le redini e conclude questo tour del gusto itinerante, aggiudicandosi il primato se, da buone forchette, volete assaggiare un grande classico a cui nulla, poste le eventuali rivisitazioni, è stato tolto.
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